lunedì 4 luglio 2016

Sallustio. L'uomo e la crisi.

Pochi sono gli storici latini le cui opere ci sono giunte integre. Sallustio si difende abbastanza bene: sappiamo che aveva scritto tre opere storiche, e di queste tre sono giunte integre e una in frammenti. Un numero più che discreto, quindi, che ci permette ampiamente di farci un’idea dei temi trattati da quest’autore.

Sallustio mentre posa per un servizio fotografico
Le tre opere menzionate sopra consistono in due monografie storiche (il De coniuratione Catilinaee il Bellum iugurtinum) e di un’opera di stampo annalistico (le Historiae). Se si considera che le Historiae sappiamo che coprivano gli anni dal 77 al 66 a.c. (con una sezione di archeologia che trattava gli eventi a partire dalla guerra sociale del 91 a.c.), appare chiaro come l’opera sallustiana copra gli anni circa dal 110 al 62 a.c., con il buco grosso modo dell’ascesa, delle lotte con Mario e del dominio di Silla, da Sallustio più volte indicato come un modello di cattivo governante (anche se, nonostante non sia qui la sede adatta per approfondire questo aspetto, le ragioni per il silenzio di Sallustio su quegli anni non sono soltanto di natura ideologica).

Questi tre scritti storici sono caratterizzati da un costante ritorno sui medesimi temi, analizzati ed esaminati in modo sempre nuovo alla luce dei diversi avvenimenti trattati. Anche le Historiae, nonostante ci siano giunte solo in frammenti, smembrate nel V secolo d.c. da un qualche monaco verso il quale il più autorevole editore dei frammenti sallustiani, Maurenbrecher, manifesta tutta la sua stima definendolo “demente”, confermano compiutamente l’unità dell’impianto ideologico delle tre opere.

La scelta da parte di Sallustio di dedicarsi alla scrittura della storia viene motivata nei proemi alle sue due monografie (in particolare nel De coniuratione Catilinae), con qualche integrazione dalla sua biografia. Sallustio infatti dichiara, nel De coniuratione, che è importante sia compiere grandi imprese che raccontarle, e, per quanto la prima cosa abbia più dignità e più difficoltà della seconda, anche la gloria ottenuta nella scrittura non è per nulla da disprezzare. Sappiamo che in questo periodo Sallustio, dopo la sconfitta di Cesare, viene completamente emarginato dalla scena politica romana. Perciò, siccome scopo dell'uomo è guardare verso l’alto ed esercitare l’ingegno, parte di noi che abbiamo in comune con gli dèi, e non fare come le pecore, che sono portate per natura a guardare verso il basso, e siccome a Sallustio non è più possibile operare a livello politico, egli sceglie perciò di dedicarsi alla storiografia.

Dopo essersi ritirato dalla politica Sallustio ha deciso di guadagnare in un altro modo
Le ragioni di questa scelta ci aiutano a capire perché centrale nelle tre opere sia il tema di cui voglio parlare qui, ovvero l’uomo, visto da solo e inserito in un contesto di crisi dello stato. Se la storiografia di Sallustio costituisce un atto di ripiego dalla politica, è chiaro però che avrà come argomento d’indagine proprio la politica stessa. In particolare, quella che Sallustio vive è un’epoca di crisi, in cui le istituzioni dello stato non sono fiorenti ma anzi, cominciano a lasciare intravedere i propri punti deboli: ecco così che il governo degenera affidato a oligarchici come Silla oppure a democratici che però cercano il potere per sé come Cinna, e ed ecco che suscita nei cittadini la necessità di ribellarsi, di cercare res novas, di risolvere i problemi che li affliggono. Da questa necessità di risolvere la crisi, che sta affliggendo anche economicamente i cittadini, nasce la congiura di Catilina, che, sperando di salvare lo stato, non fa altro che affossarlo ancora di più, poiché per riparare i problemi usa quegli stessi mezzi che li hanno provocati. Insomma, l’intera opera di Sallustio si configura come un tentativo di comprendere quali sono le ragioni che hanno portato alla crisi dello stato. E, fatto ancora più interessante, questa ricerca trova una risposta che si sviluppa e migliora attraverso le varie opere.

Cominciamo con il primo scritto in ordine cronologico, il De coniuratione Catilinae.All’inizio dell’opera Sallustio inserisce una digressione sulle cause remote che hanno portato alla decadenza dello stato romano al punto da generare un uomo come Catlina, che, nel tentativo di portare riparo a questa decadenza, ne rappresenta di fatto l’apice. Questa è la spiegazione che dà Sallustio.
[11] 1 Sed primo magis ambitio quam avaritia animos  hominum exercebat, quod tamen vitium propius virtutem erat.[…] 4 Sed postquam L. Sulla armis recepta re publica bonis initiis malos eventus habuit, rapere omnes, omne strahere, domum alius, alius agros cupere, neque modum neque modestiam victores habere, foeda crudeliaque in civis facinora facere. 5 Huc accedebat, quod L. Sulla exercitum, quem in Asia ductaverat, quo sibi fidum faceret, contra morem maiorum luxuriose nimisque liberaliter habuerat. Loca amoena, voluptaria facile in otio ferocis militum animos molliverant. […] 7 Igitur ii milites, postquam victoriam adepti sunt, nihil reliqui victis fecere. 8 Quippe secundae res sapientium animos fatigant: ne illi corruptis morbus victoriae temperarent.
[11]All’inizio stimolava l’animo degli uomini più che l’avidità l’ambizione, che è comunque più vicina al vizio che alla virtù.[…] Ma dopo che Lucio Silla aveva ottenuto lo stato con le armi, da un buon inizio seguirono fatti disastrosi, e tutti a rubare e commettere furti, chi a desiderare una casa, chi dei campi, e i vincitori non avevano né misura né limiti, e commettevano atti crudeli e malvagi contro gli altri cittadini. Si arrivava a ciò perché Lucio Silla, aveva, contrariamente ai costumi dei padri, trattato con troppo lusso e liberalità, quell’esercito che aveva condotto in Asia, e lo aveva fatto per renderselo fedele. Quei bei luoghi, quei piaceri vissuti nell’ozio avevano rammollito l’animo ardente dei soldati.[…] Dunque quei soldati, dopo avere ottenuto la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. Le situazioni favorevoli fiaccano anche l’animo dei sapienti: neppure loro, essendo ormai degenerati i costumi, posero una misura alla vittoria.
Silla alle audizioni per fare Voldemort
Qui la crisi di Roma è attribuita alla decadenza dei costumi. In un passo che non ho riportato, Sallustio descriveva l’antica società romana prima di Silla, e la rappresentava come un ambiente in cui il massimo obiettivo fosse quello di gareggiare nella virtù: i romani tentavano costantemente di essere i primi non per brama di potere o altro ma per il loro amore verso tutto ciò che rende alto l’uomo. Qualunque conflitto intraprendessero, dunque, era dovuto alla volontà di superare sé stessi quanto a valore e altezza. Nell’età di Sallustio, invece, a muovere l’uomo non è più il desiderio del valore ma la cupidigia e la mollezza, che inquinano l’uomo e lo trattengono verso il basso. E il motivo di questo scambio, per cui alla volontà della virtù si sostituisce la volontà del vizio, è da trovare nel governo di Silla, il quale ha corrotto le persone, offrendo loro i piaceri facili ma contemporaneamente caduchi del corpo, rendendo legge il furto e gli atti illegali e chiamando ingenuità il rispettare i valori del mos maiorum, su cui si potrebbe parlare per settimane ma che qui per comodità e per intenderci possiamo chiamare costumi dei padri. Lo stato viene rappresentato come una massa di persone che segue a ruota chi li governa, e se, come in questo caso, chi li governa è un vizioso, allora anche il popolo non potrà che assumere su di sé gli stessi vizi. E Silla è un vizioso non tanto perché lui stesso possieda quegli elementi negativi che fa nascere negli altri, quanto perché, invece che incoraggiare a seguire i valori del passato, per il proprio interesse (rendersi fedele l’esercito) diffonde piaghe che deviano le persone dalla retta via. Silla pensa prima al proprio bene e poi forse a quello dello stato, ed è per questo che presto cominciano a farlo anche i cittadini.

Chi governa lo stato è responsabile della moralità dei suoi sudditi, e rovinarla porta alla crisi più totale. Per ora quindi la crisi è attribuibile in ultima istanza a un governo che non è stato in grado di mantenere alti i costumi e ha permesso il loro degrado. Sallustio ha ancora una visione piuttosto generale della situazione. Non analizza ancora l’uomo come parte integrante dello stato, ma considera in massa la popolazione e la vede come qualcosa di fortemente condizionato da ciò che riceve da chi sta più in alto di lei.

Questa visione cambia nella monografia successiva. Qui Sallustio comincia a osservare non soltanto le cause esterne della crisi, ma anche quelle interne nelle persone. Ecco che qualcosa cambia. Per usare le sue parole:
[41] Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rempublicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido menti bus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in adversis rebus optaverant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit.
Infatti, prima della distruzione di Cartagine, il senato e il popolo romano con tranquillità e misura gestivano tra sé lo stato, e non c’era rivalità tra cittadini né per la gloria per il comando: la paura del nemico tratteneva la città nei limiti delle azioni oneste. Ma quando quella paura lasciò gli animi, quelle cose che si amano quando la situazione è tranquilla, dissolutezza e superbia, presero il potere. Così quell’ozio che avevano desiderato nelle difficoltà, dopo che lo ebbero ottenuto, fu anche più aspra e crudele.

Da questo passo si nota subito come la prospettiva da cui chi scrive osserva la situazione sia molto cambiata. Sallustio non osserva più la storia da un punto di vista puramente generale, ma è come se si fosse accorto che a prendere parte agli eventi del popolo romano non sia una massa astratta, bensì composta da persone. Queste persone vengono colte, con un’acutezza davvero sorprendente, in uno stato psicologico che si ripeterà più volte nel corso della storia e che ormai è riconosciuto come un dato importante per la comprensione delle dinamiche di determinati eventi. Infatti, è da tempo che ormai gli storici hanno abbracciato l’idea, qui intuizione geniale di Sallustio, che la paura di un nemico esterno rende saldo un popolo.
Silla e Cariddi
Come dicevo, comprendere questo pensando al popolo come a una moltitudine indistinta sarebbe impossibile. Qui l'occhio dello storico si focalizza sull'interiorità dei singoli uomini che compongono la massa, ne osserva i movimenti dell'animo e le tendenze, in modo così da determinare che cosa ha garantito l'antica virtù e quindi, una volta perduta, ha provocato la decadenza. Da ciò deriva che la crisi non é stata causata dal vizio di un singolo (quindi dall'esterno), ma dalla caduta di un atteggiamento interiore collettivo.
Da questo cambiamento di prospettiva  deriva poi nelle Historiae un ulteriore salto di qualità, un ulteriore zoom dell'osservazione dello storico nella natura umana. Prima Sallustio osservava sì la massa da un punto di vista psicologico e interiore, ma lo faceva ancora in maniera collettiva, esaminava i sentimenti di tutti, non dei singoli. Nelle Historiae viene superata anche questa visione.
Nobis primae dissensiones vitio humani ingeni evenere, quod inquies atque indomitum semper in certamine libertatis aut gloriae aut dominationis agit.
Se prima quindi Sallustio descriveva un sentimento collettivo, adesso passa a osservare ciascuno di noi singolarmente. Solo così può notare questo difetto dell’indole umana, che la spinge sempre a mettersi contro gli altri per i propri desideri. L’espressione che usa Sallustio è generale, ma indica qualcosa che è dentro ciascuno di noi, quindi appare chiaro che il discorso dello storico è un discorso generale fatto però osservando tutti i casi particolari. È un salto rispetto a prima, quando invece le considerazioni erano fatte osservando la massa nella sua interezza, anche se da un punto di vista interno.
Questo è il culmine della riflessione di Sallustio sull’uomo e sulla crisi, e sembra che lo storico sia giunto a un picco di irreversibile pessimismo: la crisi non può essere evitata perché è causata da qualcosa di insito nell’uomo. Appare quindi come qualcosa di necessario.
Fermo restando un profondo pessimismo di fondo nell’opera di Sallustio, e fermo restando che nelle Historiae probabilmente questo pessimismo raggiungeva l’apice, occorre però moderare il giudizio esposto sopra. Un passo del De coniuratione Catilinae può essere illuminante al riguardo.

     “Omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio                        transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. 

        Tutti gli uomini, che vogliono superare gli altri esseri viventi, occorre si dedichino a grandi imprese, per non                trascorrere la vita in silenzio come le pecore, che la natura ha reso prone e obbedienti al ventre.


Già dal De coniuratione, quindi, Sallustio considerava la possibilità di una degenerazione da parte dell’uomo. Tuttavia c’è una possibilità di redenzione, si può cambiare: infatti questo passo e quello delle Historiae sopra riportato non sono in contraddizione. È vero che per un problema della’indole umana l’uomo tende verso il basso e verso la soddisfazione personale, ma è anche vero che questo è solo un aspetto della natura umana, poiché non per questo esiste l’uomo, bensì per seguire quegli aspetti più alti di sé. Ecco che quindi il radicale pessimismo delle Historiae lascia però aperta la porta a una risalita verso l’alto, a un cambiamento in meglio. Occorre che l’uomo non segua (come si dice nel resto del passo del De coniuratione, che ho omesso) la parte che ha in comune con gli animali ma quella che ha in comune con gli dèi.

Questo quindi è quanto di importante possiamo ricavare dall’analisi dell’opera di Sallustio, che in tempi di crisi non è all’esterno che dobbiamo guardare, ma a noi stessi. Dobbiamo smettere di seguire quegli istinti che ci portano in basso e cercare di elevarci. Correggendo noi stessi correggeremo anche lo stato, e correggendo lo stato elimineremo la crisi, di qualunque crisi si tratti. Il cambiamento non è qualcosa che fanno i singoli, è il risultato del lavoro comune di tutti quanti. Solo così potremo sperare di ottenere qualcosa.

1 commento:

  1. Le parti più belle secondo me sono le didascalie alle immagini: alcune sono veramente geniali nella loro ironia!

    Chissà oggi Sallustio come commenterebbe la Brexit, la crisi della Grecia, o gli attacchi dell'ISIS? Forse non saremmo molto distanti dalla scissione dell'Impero d'Oriente, dalla crisi delle Gallie o di Palmira, o dalle invasioni di Vandali e Visigoti... Ma lascio queste considerazioni a occhi più esperti.

    Ancora complimenti per il blog!

    Andrea

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