lunedì 29 agosto 2016

Recensione - Prima Fondazione di Isaac Asimov

Come potete intuire dal titolo, mi sono dato alla fantascienza. In realtà è per ora una semplice parentesi, volta perlopiù a colmare la mia enorme lacuna nelle letture di questo genere. Perciò, per riparare almeno un poco a questa mia ignoranza ho deciso di leggere quello che costituisce praticamente la base di tutta la fantascienza moderna, ovvero la Trilogia della Fondazione di Asimov.

E a questo punto sorge spontanea una domanda. La stessa che mi sono posto anche io. La stessa che mi rendeva dubbioso riguardo al recensire Asimov oppure no. Ha senso parlare di grandi della letteratura, di pilastri di genere, di libri su cui persone migliori di me hanno già versato fiumi di inchiostro sflangiando le gonadi a tutti?

In realtà sì. Nel senso che quando scrivo qui sopra non è che mi aspetto di cambiare la storia della critica moderna, né semplicemente di dire la mia opinione. Come se pensassi che la mia opinione interessi a qualcuno. Il mio obiettivo quando scrivo è sì dire la mia su un argomento che mi interessa ma anche sperare di indirizzare le future letture di chi capita qui. Magari arriva l’utente indeciso se comprare un libro o no, legge me e si decide a farlo. Oppure se ne allontana manco fosse la peste bubbonica, è uguale. Il punto è che spero che in qualche modo le mie recensioni non siano un mio parlare al vento ma anche uno strumento per indirizzare i miei utenti. In quest’ottica diventa sensato anche recensire un libro che ha fatto storia nel genere cui appartiene.

Dopo questa premessa possiamo cominciare con Prima Fondazione. Che, se è un pilastro del suo genere, verrebbe da chiedersi se qualcuno ha per caso sentito la fantascienza scricchiolare.
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Titolo: Prima Fondazione
Autore: Isaac Asimov
Anno: 1951                                                          
Editore: Mondadori
Pagine: 210




TRAMA

Tutto l’universo è ormai sotto il controllo dell’impero galattico, che si estende per miliardi e miliardi di pianeti e mantiene il comando da qualcosa come diecimila anni. La situazione non è però così rose e fiori. È nata da tempo una nuova scienza, la psicostoriografia (o psicostoria a seconda delle traduzioni italiane), che studia il comportamento delle masse in rapporto alla probabilità di un’azione, valuta cioè le possibilità che una massa di persone faccia o non faccia qualcosa. Il fondatore della psicostoriografia è lo psicologo Hari Seldon che, grazie alla sua invenzione, ha anche fatto un’altra scoperta: nel giro di poco tempo l’impero galattico crollerà, e seguiranno al crollo trentamila anni di barbarie. Seldon decide così di ideare un piano non per impedire la barbarie, ritenuta ormai inevitabile, ma per ridurne sensibilmente la lunghezza: soltanto mille anni. Nasce così il piano Seldon, che prevede la creazione di una Fondazione all’estremità dell’universo, che cataloghi in un’enciclopedia tutto lo scibile umano e lo mantenga intatto in vista della barbarie. Il libro si propone di seguire le vicende della Fondazione per i primi duecento anni dalla sua creazione.

LA MIA OPINIONE


La Trilogia della Fondazione è un’opera dal respiro epico che si estende per centinaia di anni. O meglio, sicuramente mira ad essere un’opera epica. In realtà, in questo primo romanzo quest’obiettivo a mio parere è molto mal realizzato. Forse dirò un’eresia nei confronti degli appassionati, ma a me Prima Fondazione non ha fatto per nulla impazzire. Anzi.
"Ma veramente..."
Le premesse da cui nasce la storia, che sono quelle che ho esposto prima e che fondamentalmente vengono spiegate all’interno della prima parte (l’intero libro è suddiviso in cinque parti), sono interessanti. Il problema è quello che viene dopo.

Ciascuna delle cinque parti ha un protagonista diverso. E, escluso il protagonista della prima, Gall Dornik, tutti gli altri sono uguali. Cambiano i nomi, cambiano i loro ruoli, e basta, sono la stessa macchietta riproposta ogni volta. Tutti personaggi intelligenti, tutti in grado di risolvere le situazioni in cui si trovano, tutti che non amano agire in modo diretto ma per la maggior parte restano dietro le quinte mentre i loro piani si sviluppano. Il peggiore è il protagonista della quarta parte, Limmar Ponyets. Gaal invece, che è un povero provinciale che abita un pianeta all’estremità della galassia, è ingenuo, semplice e ignorante, e come tale si comporta per le quaranta pagine scarse a lui dedicate. È simpatico, nonostante non faccia altro che lasciarsi controllare da Hari Seldon, e leggere di lui è comunque meglio che leggere di quei fantocci tutti uguali. Voglio dire, Salvor Hardin (il protagonista della seconda e della terza parte) ancora si salva ma solo perché è il primo personaggio con quel carattere. Gli altri, che sono soltanto delle sue copie, stufano dopo poco, e infatti neppure me ne ricordo i nomi.

Limmar Ponyets in tutto il suo spessore.
La storia è troppo episodica per appassionare. Molti aspetti sono trattati in modo frettoloso o sciapo, e in generale non viene dedicato loro tempo e spazio a sufficienza perché il lettore possa farsene conquistare. Le situazioni vengono sciolte in modo spesso troppo rapido. L’unica parte che si salva sotto questo aspetto è la terza, quella in cui Salvor Hardin si reca su Anacreon, perché gli eventi non sono tanti e sono narrati in modo disteso e non frettoloso. Inoltre vengono presentati personaggi decisamente ben caratterizzati (il principe Leopoldo e il reggente Wienis) che contribuiscono a colorare la storia e a renderla più interessante. A parte questo (e in realtà anche la prima parte perché, non finirò di ripeterlo, Gaal mi sta simpatico), il resto scorre in modo non dico noioso ma sicuramente meno coinvolgente e piacevole.

Spesso Asimov ha la pessima abitudine di raccontare i fatti. In pratica, invece che mostrare al lettore gli eventi si limita a farli raccontare dai personaggi, e questo, io credo, abbatte molto l'interesse. Per una buona fetta del romanzo assistiamo a personaggi che raccontano i risultati del loro piano, piuttosto che essere noi a guardarli attraverso i loro occhi. Per esempio, la seconda parte, la prima con protagonista Salvor Hardin, se la cava bene fino alla fine (a parte la erre moscia di Lord Dorwin, che rovina un personaggio altrimenti ben congegnato) e poi alla rivelazione finale crolla. In quattro righe Salvor Hardin dice “in realtà ho vinto”. E vince lui. Fine. Un anticlimax pazzesco, che distrugge il picco di tensione che si era creato fino a quel momento.


Asimov prima e dopo essersi tagliato i basettoni.
Se dovessi quindi fare una classifica delle cinque parti metterei la prima (c’è Gaal, quello simpatico, ricordate?) e la terza allo stesso livello, poi la seconda e la quinta a pari merito e infine la quarta. La quarta parte è proprio brutta, gente. Personaggi inconsistenti o fotocopia di altri, trama raffazzonata e anche un po’ confusionaria e personaggi che raccontano cose che andrebbero mostrate come se non ci fosse un domani. Meno male che almeno è corta, appena una quindicina di pagine.

Ora, so che l’episodicità non è indice dell’incapacità di Asimov, ma ha una precisa ragione: le varie parti sono state all’inizio pubblicate separatamente e poi sono diventate un unico romanzo. Questo però non toglie che il risultato che ne esce fuori non sia il massimo. Del resto, anche gli altri due romanzi (che recensirò a breve) sono stati inizialmente pubblicati in parti, eppure sono libri di grande qualità.

E fin qua una carrellata di cose negative. Non c’è però soltanto del marcio in Prima Fondazione, anzi. La trama, per quanto non coinvolgente, è davvero ben congegnata. Non ci sono personaggi che fanno cose stupide, o che agiscono perché la trama dice così, ma ogni evento ha una precisa causa logica e meditata. Inoltre è articolata ed elaborata, ricca di colpi di scena e di situazioni inaspettate, che complicano la situazione fino alla risoluzione finale. Se fosse più coinvolgente sarebbe il massimo, perché è davvero ben costruita. Seguire certi snodi diventa un piacere, perché dalle situazioni più gravi i personaggi riescono a inventare idee per uscirne che non suonino tirate ma coerenti e sensate. Inoltre quando mette da parte la fretta e dà agli argomenti lo spazio dovuto Asimov riesce a creare tensione in modo molto efficace. Il fatto è che, almeno in questo romanzo, quest’abilità di Asimov non viene più di tanto alla luce.

C’è da lodare l’accuratezza con cui ogni evento è costruito. Pare che di recente mi capiti di lodare spesso questa caratteristica negli autori che leggo (l’ho fatto anche recensendo Miyazaki), ma forse questo è l’aspetto più peculiare di Asimov. Ogni cosa viene trattata con una grandissima cura. Gli elementi scientifici sono precisi e approfonditi, ma l’autore non si perde in lunghi spiegoni, anzi, ai lettori non viene praticamente spiegato niente. Quando scrivo approfonditi intendo che Asimov conosceva bene quello di cui parla, e infatti la narrazione non risulta mai incredibile o assurda.

Quello che tentano di spacciare
oggi per fantascienza.
La fantascienza di Asimov è in realtà una fantascienza particolare, almeno rapportata alla nozione comune di fantascienza. Magari sono strano io, ma quando mi dicevano fantascienza io pensavo ad alieni bizzarri e a pianeti sconosciuti. E almeno per quanto riguarda gli alieni, Asimov mi ha fregato. Non c’è un alieno in tutto il libro. Inoltre, per quanto le persone abbiano alte tecnologie e astronavi che permettono loro di viaggiare da un capo all’altro della galassia, ci sono comunque elementi terra terra che potrebbero a prima vista stonare con il contesto. Per esempio, c’è un punto in cui un personaggio si accende un sigaro con un accendi sigari. Che è un aggeggio ben poco futuristico, e che appunto potrebbe sembrare non adatto al contesto ipertecnologico. In realtà io credo che questa forma di fantascienza un po’ se vogliamo ingenua (del resto è stata anche scritta quasi settant’anni fa, quando alcune cose che ora sono realtà allora erano pura fantasia) e sicuramente poco fantasiosa e libera si adatti perfettamente alla storia e allo stile di Asimov. Infatti ho apprezzato l’assenza di alieni, la loro presenza avrebbe rovinato l’atmosfera.

La scrittura di Asimov è buona. È scarna ed essenziale, a volte è un po’ asettica, e quindi può rendere difficile al lettore capire e simpatizzare con i personaggi. Mi è capitato un po’ di volte di far fatica a comprendere gli stati d’animo dei personaggi, perché appunto sono spiegati in modo fin troppo distaccato. Ma del resto abbiamo visto che con alcuni personaggi si riesce a simpatizzare comunque (chi ha detto Gaal? O anche i governanti di Anacreon), mentre i personaggi che risultano più freddi sono anche quelli che valgono di meno, come tutte le fotocopie di Salvor Hardin. Quindi non posso lamentarmi, anzi, a volte, specialmente nelle descrizioni, lo stile diventa poetico e lirico, dando alle scene efficacia e leggerezza.

Infine, merita una menzione il fatto che le situazioni politiche, militari e storiche presenti nel romanzo sono credibili e create con intelligenza. Questo non solo grazie alla precisione di cui parlavo prima, ma anche al fatto che Asimov, per la scrittura della trilogia, si sia ispirato a un libro di Gibbon, La caduta dell’impero romano. Questo ha ispirato l’idea di un impero in decadenza e di una barbarie imminente. E l’appassionato di storia romana del tardo impero che è in me non ha potuto fare a meno di andare in brodo di giuggiole quando lo ha scoperto.


Il Gibbon che ha ispirato Asimov.

IN CONCLUSIONE


Prima Fondazione non è un gran romanzo. Ha alcuni lati positivi, come l’accuratezza dei dettagli, l’abilità con cui è costruito l’intreccio e alcuni personaggi che non sono da buttare via, e altri negativi, come l’episodicità e lo scarso coinvolgimento della trama e la scarsa riuscita di un buon numero di personaggi. È un libro che consiglio, ma soltanto perché è indispensabile per leggere i successivi. Quelli che valgono la pena.

VOTO:

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