lunedì 7 novembre 2016

Bacchilide e Pindaro, più simili che diversi. Un commento a Storia e testi della letteratura greca.

Ho talmente preso l’abitudine di commentare le cose che scrivono gli altri che sto cominciando a farlo anche negli articoli di cultura antica. Così, se l’altra volta ho detto la mia riguardo la discutibile opinione di Luca Canali, e quindi si parlava di letteratura latina, oggi si parla di letteratura greca. Un po’ per uno.

Voglio soffermarmi a parlare un po’ di Bacchilide e di Pindaro, i due maggiori esponenti del cosiddetto secondo periodo della lirica corale nonché gli autori dei praticamente unici epinici che ci siano giunti. In particolare, voglio esaminare certi aspetti della poesia di Bacchilide e osservare se e quante differenze esistano con la poetica di Pindaro.

Per parlare di questo tema voglio, come accennavo prima, commentare un brano di un libro, che mi è capitato casualmente sotto gli occhi qualche giorno fa. Si tratta di poche righe tratte dal manuale di letteratura greca che usavo al liceo, Storia e testi della letteratura greca di Casertano e Nuzzo. Prima di passare a questo però, ritengo utile una breve panoramica sui due autori che prenderò in esame.

Il responsabile del delitto.
Bacchilide e Pindaro sono due poeti vissuti tra il sesto e il quinto secolo a.c. La loro fama è legata l’una a quella dell’altro perché, tra i vari generi letterari cui si sono dedicati, entrambi hanno scritto epinici, ovvero canti in onore del vincitore in una disciplina sportiva, dando vita a un’acerrima rivalità. Gli antichi erano concordi su quale dei due avesse superato l’altro, e ritenevano Pindaro migliore di Bacchilide, per la sublimità dei suoi versi e l’altezza dei concetti che esprimevano. Questo giudizio ha indirettamente influenzato tutta la critica testuale anche moderna, che tende a dare a Bacchilide un ruolo inferiore rispetto a Pindaro, a giudicarlo poeta meno ispirato e meno potente. Ritengo sia utile, più che spendere altre parole al riguardo, lasciar parlare gli antichi stessi. Queste poche righe provengono dal trattato sul sublime (la traduzione è mia. Non riporterò gli accenti nel testo greco perché ho problemi con la tastiera greca, è già tanto per come sono messo riuscire a riportare i testi).

Εν μελεσι μαλλον αν ειναι Βακχυλιδης ελοιο η Πινδαρος, και εν τραγωδια Ιων ο Χιος η εν Δια Σοφοκλης; Επειδη οι μεν αποδιαπτωτοι και εν τω γλαφυρω παντη κεκαλλιγραφημενοι, ο δε Πινδαρος και ο Σοφοκλης οτε μεν οιοω παντα επιφλεγουσι τη φορα, σβεννυνται δαλογως πολλακις και πιπτουσιν ατυχεστατα.

Nella poesia preferiresti essere Pindaro o Bacchilide, e nella tragedia Ione di Chio o Sofocle? I primi non hanno difetti e nella loro eleganza hanno scritto ovunque con bello stile, mentre i secondi bruciano tutto con la loro foga, ma spesso si spengono in modo stupido e cadono nella maniera più infelice.

Ecco, questo giudizio è un po’ passato anche a noi, e ha contribuito a una più estesa svalutazione di Bacchilide: gli viene riconosciuta abilità ma risulta comunque meno impegnato di Pindaro, che invece viene visto come poeta più alto, scrittore di argomenti più elevati, grande cantore dai valori incrollabili e dalla voce profetica. E da qui deriva anche il giudizio espresso in Storia e testo della letteratura greca, che ora voglio riportare.

Pindaro mi guarda male perché mi piace Bacchilide.
Ciò [l’ampio spazio dedicato al mito negli epinici di Bacchilide] non deve far pensare però a una maggiore religiosità di Bacchilide, ché anzi in lui il racconto mitico ha perduto quasi del tutto il suo carattere di storia sacra, per divenire bella favola, narrata con quel gusto per il meraviglioso ed il fiabesco che è caratteristica dell’anima ionica. A differenza di Pindaro, Bacchilide non cerca nelle saghe eroiche paradigmi etici ed esistenziali

Io non sono d’accordo con questa idea, anzi, la penso in modo esattamente opposto. Povero Bacchilide! È davvero sottovalutato, davvero oscurato dall’ombra di Pindaro, che invece si erge come una monumentale figura insuperabile, dalla moralità granitica. Invece il tono più disteso della poesia di Bacchilide, in un passo che non ho riportato, Storia e testo della letteratura greca non esita a definirlo mollezza.

Ma perché mi oppongo a questa idea? Bé, le ragioni sono semplici: un paio di anni fa ho letto i frammenti di Bacchilide nell’edizione pubblicata dalla bur, e posso affermare che la realtà è ben diversa da come viene descritta. Vediamo di capire perché, e voglio farlo prendendo in esame l’epinicio 3. Non riporterò tutto il testo, mi limiterò a citare i punti che mi interessano sia in greco che in traduzione, né è mia intenzione fare un commento esteso, ma sottolineerò soltanto quegli elementi che sono utili al sostegno della mia tesi.

L’epinicio comincia con l’esaltazione del dedicatario, Ierone di Siracusa, vincitore con il carro alle Olimpiadi. In seguito ad alcuni versi di sapore sentenzioso in cui si dice beato chi è in grado di tenere lontane le proprie ricchezze dalle avversità della sorte viene lasciato intendere che Ierone sia tra questi beati, e viene poi spiegato come ottiene questo. Comincia così la descrizione delle feste che egli ha fatto celebrare e del santuario di Delfi, dove ha mandato molti doni.

βρυει μεν ιερα βουηθτοις εορτοις,
βρυουσι φιλονεξιας αγυιαι:
λαμπει δ'υπο μαρμαρθγαις, ο χρυσος
υψιδαιδαλτων τριποδων σταθεντων
παροιθε ναου, τοθι μεγιστον αλσος,
Φοιβου παρα Κασταλιας ρεεθροις
Δελφοι διεπουσι. Θεον, θεον τις
αγλαιζετω, ο γαρ αριστος ολβων.

I templi sono ricolmi di feste dove si sacrificano buoi,
le strade sono ricolme di gesti d’ospitalità,
l’oro splende tra i scintillii
tra i tripodi alti e istoriati
davanti al tempio, dove il grandissimo bosco
di Febo controllano di Delfi,
presso le correnti di Castalia. Il dio,
si glorifichi il dio: è la più grande delle fortune.

Questi sono i versi dal 15 al 22. Li ho riportati principalmente per dare un esempio della poesia di Bacchilide, che non è affatto di basso profilo: come si vede da questo breve estratto sono presenti descrizioni ricche ed efficaci (in particolare, io apprezzo il modo in cui è rappresentato il tempio con i tripodi e il rapido susseguirsi delle scene che rende l’idea dell’atmosfera incalzante e trepidante che regna). Il dio che si dice celebrato in questi versi è Apollo, e proprio questo offre a Bacchilide l’occasione per introdurre un racconto: come Ierone, anche un altro personaggio offriva molti doni ad Apollo, ed è Creso di Lidia. È curioso che lo spazio che normalmente è riservato al mito qua sia dedicato alla narrazione delle vicende di un personaggio storico, ma questo non cambia nulla, visto che gli altri epinici trattano i racconti mitici come qui viene trattato il racconto storico.

Il dio Apollo.
Bacchilide racconta che, quando Ciro di Persia conquista la Lidia, Creso e la sua famiglia vengono condotti su un cumulo di legna perché muoiano in un rogo. In questa situazione Creso rivolge un’invocazione al tanto venerato Apollo.

Χερας δ'ες αιπυν αιθερα σφετερας αειρας
γεγωνεν: υπερβιε δαιμον,
που θεων εστι Χαρις;
ποθ δε Λατοιδας αναξ;
πιτνουσιν Αλυαττα δομοι
[...]
φαινισσεται αιματι χρυσονιδας
Πακτωλος: αεικελιως γυναικες
εξ ευκτιτων μεγαρων αγονται:
τα προσθε δ'εχθρα φιλα, θανειν γλυκιστον.
                                                                               [...]

απιστον ουδεν, ο τι θεων μεριμνα
τευχει: τοτε Δαλογενης Απολλων
φερων ες Υπερβουρεος γεροντα
συν τανισφυροις κατενασσε κουραις
διευσεβειαν, οτι μεγιστα θνατων
ες αγαθεαν ανεπεμψε Πυθω 

e sollevate le mani all’alto cielo
grida:«O divinità potente,
dov’è la gratitudine degli dèi?
Dov’è il signore figlio di Leto?
Crollano le case di Aliatte
[…]
Si tinge di sangue il Pattolo
dalle correnti d’oro; con le vergogna
le donne vengono portate via dalle case ben costruite,
ed è bello ciò che prima era odioso: cosa assai dolce è morire
[…]
 niente è incredibile di ciò che architetta
la cura degli dèi: allora Apollo, generato a Delo,
portò il vecchio presso gli Iperborei
con le fanciulle dalle belle caviglie
per la sua devozione, poiché i doni più grandi
tra i mortali aveva inviato alla santa Pito.

Torniamo un po’ a vedere che cosa diceva Storia e testo della letteratura greca. C’era scritto che Bacchilide non cerca nel mito paradigmi etici o esistenziali. Niente di più falso! Non si può parlare di paradigma etico, ma è indubbio che qui Creso rappresenta le persone che, nel momento nella disperazione, si rivolgono con delusione agli dèi pensando di essere stati abbandonati. Si può parlare io credo di paradigma esistenziale al proposito senza forzare in alcun modo il testo, lo dimostra la chiusa sentenziosa dell’invocazione. Ed è paradigmatica anche la fine dell’episodio, che, in una visione della vita come sarà esposta anche negli altri epinici sostanzialmente negativa, rappresenta un raggio di luce. L’esistenza è sì dolore su dolore ma la devozione nei confronti degli dèi ricompensa, anche quando non ci si aspetta che accada. E Bacchilide sottolinea come non è il dio che viene piegato dalle parole di Creso, ma era già nei suoi piani andare a salvarlo, rappresentando così Creso e quindi l’uomo come in balia di forze, a lui sia opposte che favorevoli, che sono del tutto fuori dal suo controllo.

Credo che questo sia sufficiente a dimostrare come non sia vero che per Bacchilide il mito sia soltanto una storiella, ma anzi, il suo valore esemplificativo, come del resto in Pindaro, è decisamente presente. Dire che per Bacchilide il racconto mitico è una bella favola significa privarlo del messaggio che l’autore gli affida, che acquista in questo caso ancora maggior valore in quanto il personaggio del mito va a sovrapporsi con il dedicatario dell’epinicio: Creso e Ierone venerano lo stesso dio, e quindi a entrambi è riservato lo stesso destino di essere protetti da lui.

Creso adesso allena i giovani iperborei per le olimpiadi.
La poesia prosegue con alcuni versi frammentari, nei quali probabilmente veniva riportato un discorso di Apollo ad Admeto. Dopo il discorso una serie di versi sentenziosi che introducono un nuovo tema.

φρονεοντι συνετα γαρυω: βαθυς μεν
αιθερ αμιαντος: υδωρ δε ποντου
ου σαπεται: ευφροσυνα δ'ο χρυσος:
ανδρι δου θεμις, πολιον παρεντα
γηρας, θαλειαν αυτις αγκομισσαι
ηβαν. Αρετας γε μεν ου μινυθει
βροτων αμα σωματι φεγγος, αλλα
Μουσα νιν τρεφει.

canto parole comprensibili a chi ha senno:
il cielo profondo è puro, l’acqua del mare
non si corrompe, l’oro è gioia.
È vietato all’uomo deporre la canuta
vecchiaia e riprendere la fiorente
giovinezza. Ma lo splendore della virtù
non muore con il corpo dei mortali,
lo nutre la Musa.

Abbiamo qui una dichiarazione di poetica ben precisa: il poeta è colui che parla ai pochi che possono comprenderlo, la cui voce è profetica nella misura in cui svela verità a chi è d’animo abbastanza elevato per poterle abbracciare. Nulla dunque a che vedere con la mollezza ionica che gli viene imputata, anzi, Bacchilide è un cantore tutto d’un pezzo, un profeta delle parole delle Muse, che egli riporta nella sua poesia.

A questa dichiarazione seguono delle sententiae il cui scopo è quello di dimostrare come, a differenza del mondo, l’uomo si deteriora e muore, e l’unico modo per renderlo immortale è celebrarne la virtù attraverso la poesia. Lo scopo degli epinici di Bacchilide è quindi elevato, il più alto possibile, rendere eterno chi viene celebrato, un po’ come accade, indovina indovinello, negli epinici di Pindaro. Quello che da sempre è ritenuto superiore. E che a quanto pare dice quasi le stesse cose.

Il componimento si conclude poi con un nuovo elogio di Ierone come colui che, grazie alla sua  virtù, renderà grande anche il poeta che lo celebra.

Bacchilide posa per la copertina del suo libro.
Alla luce di quello che ho scritto, e soprattutto delle parole dell’epinicio, è chiaro che il ruolo di poeta di secondo livello affidato a Bacchilide da Storia e testi della letteratura greca e più in generale dalla critica antica e moderna è fondamentalmente immeritato, in quanto Bacchilide non è inferiore o diverso né per uso del mito né per visione della poesia e del poeta dal suo rivale Pindaro. Perciò, invito chi sia interessato a leggere le sue opere, quelle che ci sono giunte le trovate nella stessa edizione che ho letto io e che citavo prima, ne vale davvero la pena. Ora sapete che Bacchilide a Pindaro non ha nulla da invidiare, e potete ammirare il canto dolce e possente dell’usignolo di Chio, come lui stesso si definisce.

2 commenti:

  1. Ton, mi fanno sempre morire le immagini che metti e i loro sottotitoletti!

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  2. Spero ti piacciano anche gli articoli!

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