domenica 11 dicembre 2016

Recensione - Abyss di Simone Regazzoni (Terza Parte)

Questa è la storia di un povero blogger, che, trovatosi a leggere un libro che non gli era piaciuto, Abyss di Simone Regazzoni, decise di recensirlo, pensando ingenuamente che le solite duemila parole scarse sarebbero state sufficienti per liquidare la brutta lettura. Si illudeva, perché i difetti del libro si moltiplicarono di fronte ai suoi occhi, costringendolo a scrivere più di cinquemila parole per elencarli tutti. Sconfitto, dovette perciò dividere la recensione in più parti per evitare che i suoi lettori si trovassero di fronte alla versione degli anni 2000 della Divina Commedia. Questa che avete sotto gli occhi è la terza e ultima parte.

[PRIMA PARTE]
[SECONDA PARTE]

La lunghezza che avrebbe raggiunto la recensione se avessi riportato
tutte le cose che non mi sono piaciute. 

DOVE ERAVAMO RIMASTI


Abyss è la storia del professore di filosofia Michael Price e della sua compagna Trix, che hanno come obiettivo la scoperta dei contenuti delle dottrine non scritte di Platone. In questo modo potranno conoscere i piani del Quarto Reich, un’associazione di neonazisti che ha fatto di queste dottrine la propria base ideologica. Il libro per ora ci ha mostrato sequenze illogiche, un uso casuale della punteggiatura, incoerenze, dialoghi brutti e personaggi veggenti, ma ha ancora molto con cui sorprenderci.

LA MIA OPINIONE


6) Ritmo narrativo pessimo

Quando si scrive è importante mantenere un buon ritmo. Senza un ritmo ben sostenuto il lettore rischia di annoiarsi, o viceversa di non avere il tempo di soffermarsi sulle situazioni, o ancora di trovarsi a momenti in cui la tensione accumulata fino a quel momento (e dico tensione ma mi riferisco a qualunque altra emozione suscitata dalla lettura) scema come polvere al vento e lascia soltanto un senso di delusione. A Regazzoni questo riesce particolarmente bene. Vediamo perché.

Io ho seguito questo percorso, ma credo che molte persone che ora sono scrittori di professione (a differenza mia, che non lo sono e non penso lo sarò mai) lo condividano con me. All’inizio scrivi quello che ti viene, perché credi di essere migliore della media degli autori pubblicati e la gente intorno a te ti incoraggia dicendo che sei bravissimo e hai una fantasia innata. Sulle prime è così, poi smetti di volare a un metro da terra e torni a contatto con la realtà, e ti rendi conto che da imparare hai moltissimo. Allora vai a cercare su internet qualche bel sito con consigli di scrittura, o ti dedichi ai manuali, che sono uno strumento altrettanto utile. E ti si apre un mondo. Scopri, per esempio, che non è una grande idea rovesciare addosso al lettore tutte le informazioni su un personaggio o su un luogo o su qualunque cosa che appare nella storia, e la cosa migliore è invece diluire l’indispensabile nella narrazione. Specialmente quando si parla di personaggi non importanti.

Manzoni mi guarda male. A lui piacciono così tanto le digressioni.
Abyss, invece, fa l’esatto opposto di quello che ho appena detto. Appena si presenta un personaggio nuovo spezza il ritmo della narrazione per raccontarci vita morte e miracoli di quest’ultimo. Inutile dire che di tutte quelle informazioni al lettore non interessa niente, l’unica cosa che gli importa è saltare a pié pari tutto ciò che è inutile e proseguire con la storia. Che poi quando questo avviene per personaggi importanti non è accettabile ma perlomeno è in qualche modo giustificato (quelle informazioni devono arrivare al lettore), ma ci sono momenti in cui la storia viene interrotta per interi paragrafi per parlare di personaggi che non appariranno mai più per il resto del libro. Ma basta ciance, facciamo subito un esempio!

|  “C’era un solo vero problema che i Guardiani dovevano fronteggiare: l’ammiraglio 
      Byrd, uno degli autori di quell’incredibile scoperta.
      Richard E. Byrd non era solo un militare pluridecorato per le sue imprese, ma anche 
      un esploratore noto al vasto pubblico, una specie di eroe internazionale. Nel 1929 
      aveva ricevuto la medaglia d’onore per aver sorvolato per la prima volta il polo Nord. 
      Il suo libro autobiografico Alone, in cui narrava la spedizione in Antartide del 1934, 
      era diventato un best seller. La sua fama di esploratore era tale che nel 1938, mentre 
      si trovava ad Amburgo, il governo nazista l’aveva invitato a partecipare alla 
      spedizione antartica Neuschwanbenland organizzata dal capitano della marina 
      tedesca Alfred Ritscher. Byrd, che aveva declinato l’invito, aveva poi preso parte alla 
      spedizione in Antartide del 1940 organizzata dagli Stati Uniti, per la quale aveva 
      ottenuto la prima United States Antartic Expedition Medal.  (pag.99)

Bla bla bla. Zzzzzzz...Eh? Come?
*si sveglia di soprassalto*

Come dicevo prima, Byrd non sarà mai più nominato nel corso del romanzo alla fine di questo capitolo, e cioè pagina 101. C’era bisogno di un bel paragrafo di infodump in stile Wikipedia per presentarlo? Il lettore doveva davvero sapere che aveva scritto un libro autobiografico che era diventato un best seller e quant’altro? Mah.

Il logo presente sotto il brano che avete appena letto.
Un personaggio che contribuisce a spezzare il ritmo della narrazione è il professor Jenkins. Viene in effetti descritto come logorroico, ma di solito i suoi discorsi sono collocati nei momenti peggiori. Eccone un esempio.

I protagonisti si trovano di fronte a quello che sembra un calamaro gigante. È una scena che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere concitata e ricca di tensione, e a questo mirano le scelte stilistiche dell’autore. Ma poi succede questo.

|  “[Jenkins disse]«Quello non è un semplice calamaro gigante. È un Mesonychoteuthis 
      hamiltoni, più noto come “calamaro colossale” o “calamaro antartico”».
      «Lei non era un astrofisico, Jenkins?»
      «Lei non coltiva nessun hobby, Blade? Vede, fin da quando ero bambino, la biologia 
      marina ha esercitato un certo fascino su di me, anche se non quanto l’astrofisica, 
      naturalmente, che resta l’amore della mia vita. Per questo mentre prendevo il 
      dottorato pensai di prendere una seconda laurea proprio in biologia marina, per 
      assecondare in modo più scientifico la mia piccola passione che in 
      quegli anni...»  (pag. 344)


Fatelo stare zitto! Come direbbero a Paperino in una vecchia storia, dai, scorcia! Eravamo in una situazione di tensione, il calamaro pareva una minaccia, c’era un po’ di curiosità per quello che sarebbe successo... e poi arriva Jenkins ad affossare tutto quanto raccontandoci di quando era bambino e gli piaceva la biologia. Proprio l’ideale per mantenere vivo l’interesse sulla situazione. Meno male che Trix lo tronca di malo modo, chissà per quanto avrebbe tirato avanti altrimenti!

Insomma, questi sono solo un paio di esempi, ma nel romanzo di situazioni analoghe se ne trovano un po’ ovunque. Giusto per citarne un altro assai notevole, il flashback sul passato di Russel costituisce un’interruzione non indifferente della narrazione. Dura infatti circa cinquanta pagine, e in una storia che ne conta meno di quattrocento la sua presenza si sente parecchio e rende poco snello il fluire della trama. Insomma, capita davvero raramente che il racconto proceda spedito senza interruzioni, ma spesso è interrotto da interventi evitabilissimi, che ne pregiudicano la godibilità e la scorrevolezza.

7) Miscellanea (per modo di dire)

Ci sono infine delle brutture che non sono riuscito a far rientrare in nessuno dei sei punti precedenti, ma che danno fastidio, alcune più alcune meno, durante la lettura. Potrei citarne molte, potrei citare le relative incastrate con la principale in modo che non si capisce più chi sia il soggetto, potrei citare Trix che “emana pericolo” e altre amenità da uso casuale del lessico, potrei citare il colpo di scena finale che è completamente a caso, ma non lo farò, aggiungerebbero ben poco a quello che ho già detto e non voglio scrivere una quarta puntata. Un fatto però lo voglio segnalare.

Siamo a Parigi, durante l’agguato ordito dagli uomini idioti del QR di cui ho parlato nella seconda parte della recensione. Trix sta usando una balestra per combatterli, ed ecco quello che succede a un certo punto.

|  “Il dardo entrò nell’occhio dell’uomo che aveva parlato poco prima, fuoriuscendo di 
      una decina di centimetri dalla nuca.
      Cadde come corpo morto cade.  (pag.175)

Non fare così, Dante... Anche a me dispiace che tu sia citato in questo libro...
Ebbene sì, lo ha fatto sul serio, ha inserito davvero una citazione da Dante. Ora, oltre che essere di una spocchia infinita, è anche una cosa inutile, per due ragioni. La prima, perché è un innalzamento di stile non richiesto e che anzi rovina la narrazione perché suona insensato: sarebbe come usare un lessico trecentesco per scrivere la lista della spesa. È inoltre poco adatto ai toni del romanzo, che si mantengono sempre colloquiali e non cercano mai di alzarsi. Insomma, è del tutto a caso e stona con tutto il resto. La seconda ragione è che è tautologico. Quando Dante lo usa si riferisce a sé stesso mentre sviene, e serve perciò a rappresentare in modo più drammatico e poetico la sua caduta, che naturalmente non è di un uomo morto. Qui invece si riferisce a una persona che è stata trafitta alla testa da un dardo, che cioè è senza ombra di dubbio morta. A che serve quindi sottolineare che cade un morto? In pratica, sarebbe come se Regazzoni avesse scritto “il cadavere cadde come un cadavere”. Viene da dire che quando ha scritto questo passo volesse tirarsela a caso, ma forse sono io che sono un mal pensante...

8) Salvare il salvabile

Sono migliaia di parole che evidenzio quello che di Abyss non mi è piaciuto. C’è tuttavia qualcosa che invece ho apprezzato. È niente in confronto a tutte le altre brutture, ma, come ho segnalato quello che non andava bene, ritengo giusto rilevare quello che invece funziona, per quanto poco sia.

Non si può negare che Regazzoni conosca la materia che insegna. L’intero romanzo è disseminato di discorsi su filosofi e scrittori di tutte le epoche e Regazzoni si destreggia in modo ineccepibile tra tutte queste conoscenze, dimostrando di possederle molto bene. I momenti in cui parla di Platone o della tradizione di papiri o dei testi esoterici rinascimentali sono tra i pochi buoni del libro, sono scorrevoli e interessanti, riescono davvero a solleticare la curiosità del lettore e a conquistarne l’attenzione. Questo perché in quei momenti Regazzoni sa di cosa parla, lo sa molto bene, e quindi riesce a esprimerlo nel miglior modo possibile per essere efficace e piacevole.

Alla fine il punto è proprio questo: Regazzoni può essere un ottimo filosofo, ma scrivere un romanzo è ben diverso da scrivere un saggio di filosofia. Lui invece ha intrapreso quest’ardua impresa senza basi e senza esperienza a sufficienza per riuscire a creare qualcosa che valesse la pena. Di conseguenza i momenti che posso definire senza dubbio molto interessanti sono soltanto quelli in cui si mette a parlare di quello che ama e conosce. Questi momenti saranno tre o quattro in tutto il romanzo, occuperanno una decina di pagine, massimo quindici, nonostante questo sono riuscite a intrattenermi e a interessarmi più delle restanti trecentosettanta. Del resto, scrivi ciò che ti piace (e quindi conosci) è un principio implicito che penso tutti dovrebbero tenere a mente.

Date queste premesse, è probabile (anche se naturalmente dovrei leggere qualcosa per saperlo con certezza) che la fama di Regazzoni come saggista non sia immeritata, e che in effetti la sua scrittura in quel caso risulti efficace. Se sono scritti come i momenti che citavo prima di certo sono, per quanto riguarda lo stile, degli ottimi libri.

Altro che critica della ragion pura.
Voglio poi spendere qualche parola per lodare un pezzo del libro che a una prima lettura vi sembrerà stupido. Ve lo sembrerà anche a una seconda e una terza, e ve lo sembrerebbe anche a quarta, se una quarta esistesse e voi non foste già stati costretti a prenotare una seduta dallo psichiatra. Prima riporto la citazione, e poi spiego perché mi è piaciuta.

Siamo alla fine del romanzo, Michael e Trix stanno affrontando i capi del QR, e uno di loro si rivela la fidanzata di Michael, Alex (ma il suo vero nome è Chloe), che sembrava essere stata rapita a inizio del libro, e di cui Michael aveva sentito tantissimo la mancanza ma proprio in modo terribile, tanto che se ne ricorda un due o tre volte nel corso della storia e poi la fa cadere nel dimenticatoio, non è mai preoccupato per lei, non la pensa, niente. Dicevamo, Chloe/Alex spiega a Michael il piano del QR e lo invita a seguirli. Ecco come si conclude il suo discorso.

|  “«Lì riposano i gerarchi del Terzo Reich fuggiti da Berlino nel 1945, tra cui Hitler. Lì tra 
      un attimo andremo anche noi, in attesa dell’altro inizio. C’è un posto anche per te 
      Michael, vieni con noi» disse Chloe.
      Trix le si avvicinò.
      «Scordatelo, biondina nazista, lui adesso sta con me».
      Michael guardò Trix, sorpreso.
      «Non fare quella faccia tu, ne parliamo dopo. Pensa a non farti infinocchiare da Miss
      Norimberga e dai suoi discorsi da nazista new age» aggiunse Trix.  (pag.379)

Lo so, se guardato con occhio critico siamo all’apice dell’assurdo, ma contestualizziamo il tutto. In un romanzo con inseguimenti sulle macchine, Grandi Antichi, buchi neri, generali dell’esercito, Lara Croft e Platone quanto avrebbe stonato una bella brodaglia romantica e melensa da romanzo rosa? Invece questo è del tutto nello stile e nello spirito del libro, che lascia poco spazio ai sentimenti e cerca invece qualcosa di movimentato e dinamico per coinvolgere il lettore. Inoltre è uno dei pochi dialoghi vivaci della storia, e merita anche solo per questo una menzione.

IN CONCLUSIONE 


In sintesi si può dire che Abyss è di un autore che non aveva capacità affinate a sufficienza per cimentarsi nella scrittura di un romanzo, e quindi non solo non riesce a piacere ma spesso ottiene l’effetto contrario. Una lettura che non consiglio, se proprio ci tenete a conoscere qualcosa sulla pop-sofia dedicatevi ai saggi, che sono abbastanza sicuro riservino, almeno a livello stilistico, sorprese più piacevoli.

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