sabato 18 febbraio 2017

Commento integrale al Liber di Catullo. Carme 1.


Più di un mese fa avevo annunciato il commento a Catullo, ignaro del fatto che non avrei potuto scrivere in modo continuativo per parecchio. Ora finalmente riesco a dedicarmi a questo progetto, in ritardo sulla tabella di marcia di almeno due poesie. Quasi tre. Oh, bé, poteva andare peggio immagino.

Quindi, dopo la lezioncina noiosa ma necessaria dell’altra volta lanciamoci subito nel vivo dell’azione. Vediamo subito il primo carme del Liber, prima nel testo originale e poi in traduzione.


Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas
iam tum cum ausus es unus Italorum
omne aevum tribus explicare cartis
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
Quare habe tibi quicquid hoc libelli
qualecumque; quod, patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.

A chi dedico questo libretto bello nuovo,
appena levigato con l’arida pietra pomice?
A te, Cornelio: infatti tu eri solito
pensare che le mie stupidaggini valgano qualcosa,
già allora, quando, unico tra gli italici,
hai osato raccontare la storia di tutte le epoche in tre libri
eruditi, per Giove, e laboriosi!
Accetta questo libretto, qualunque cosa 
valga; possa, o vergine protettrice,
durare perenne oltre un secolo.


Il metro, per chi fosse interessato, è l’endecasillabo falecio. La mia traduzione non è il massimo, me ne rendo conto, a volte è faticosa e in certi punti usa termini che non direbbe nemmeno vostra nonna. Ma sono sicuro che se aveste voluto una buona traduzione sareste andati a leggervi Quasimodo, e non Aproposidoketon. Quella che ho riportato qui ha lo scopo semplicemente di costituire un buon parallelo tra testo in latino e testo in italiano, in modo tale che, se uno volesse, potrebbe istituire con facilità un confronto.

Un endecasillabo falecio.

Da dove cominciare? Questo componimento, in quanto primo della raccolta, è davvero succoso e ricco di informazioni. È senza dubbio una poesia programmatica, c’è disaccordo tra gli studiosi se Catullo l’avesse pensata come proemio all’intero Liber così com’è giunto a noi oppure soltanto alle prime sessanta poesie, affermando così implicitamente che l’opera catulliana era stata concepita non come un libro solo ma come più opere. Non ho elementi a sufficienza per schierarmi con una di queste posizioni, o eventualmente per prenderne una mia, né penso che in questo caso faccia una particolare differenza appoggiare l’una o l’altra idea. Per semplicità, perciò, supporrò che questa poesia costituisca il preambolo di tutto il Liber. 

Il contenuto é semplice: ci troviamo di fronte alla dedica del libro, destinata a Cornelio Nepote. Questa scelta non é casuale, né é dovuta esclusivamente a un rapporto d'amicizia che legava i due, ma può essere collegata a precise linee di poetica di Catullo, che egli ritrova nell'opera di Nepote. Tornerò su questo nello specifico in seguito, per ora é importante ricordare chi fosse Nepote: amico di Attivo e Cicerone (del quale é all'incirca un contemporaneo, nasce nello stesso periodo ma muore alcuni anni dopo di lui) fu autore di opere note più per la grande erudizione che le caratterizzava che per l'eleganza o la bellezza dello stile. L'unico dei suoi scritti giunto fino a noi é il De viris illustribus (raccolta di biografie di uomini famosi), anche se originariamente doveva contare sedici libri, mentre né é pervenuto unio soltanto. Aveva scritto anche gli Exempla (opera in cinque libri nella quale venivano elencati esempi di festa di valore compiute da personaggi del passato) e i Chronica, che narravano in tre libri per tavole sinottiche eventi storici avvenuti in luoghi diversi del mondo. É proprio ai Chronica che si riferisce Catullo in questa poesia.

Detto questo andiamo con ordine. Già il primo verso si rivela molto interessante, in quanto delinea due aspetti essenziali della poesia catulliana. In primo luogo è molto importante l’uso dell’aggettivo lepidus, parola fondamentale nella produzione di tutti i poeti neoterici. Lepos significa “grazia”, ed era una delle qualità che i neoteroi, attingendo dalla tradizione letteraria alessandrina e da Callimaco in particolare, attribuivano alle proprie poesie: non versi aspri, ma garbati e arguti, conditi con un pizzico di leziosità dovuta all’uso dei diminutivi. E proprio con un diminutivo (libellum significa “libretto”) Catullo definisce subito dopo la propria opera, collocandola così in modo inequivocabile nel solco della nuova poesia. Questo primo verso da solo segna con una linea di demarcazione incancellabile tra il Liber di Catullo e tutta la poesia che lo precede. L’opera è neoterica dall’inizio alla fine, e Catullo vuole metterlo in chiaro fin dall’inizio. In quest’ottica la parola novus, che accompagna il libellum insieme a lepidum, può essere intesa non soltanto in senso di “nuovo”, “appena scomposto”, ma anche di “innovativo”. È indubbio a mio parere che Catullo volesse intendere anche questo con l’uso di questa parola, perché così facendo va a caratterizzare ulteriormente la già ben marcata modernità che è concentrata in questo endecasillabo falecio d’apertura. 


Un pezzo di Catulio.

C’è di più oltre a quanto detto finora. Questo primo verso contiene anche un allusione all’opera di un poeta di età ellenistica, ovvero Melagro di Gadara. Il riferimento è al primo verso (dettaglio non certo casuale) della poesia di apertura della sua antologia, che raccoglieva poesie sue e di molti altri autori, come lui stesso ci tiene a sottolineare, e che ci è tramandata nel libro IV dell’Antologia Palatina. Questo verso recita così:

Μοῦσα φίλα, τίνι τάνδε φέρεις πάγκαρπον ἀοιδάν;

Cara Musa, a chi porti questo canto dai molti frutti?

In caso ve lo steste chiedendo la risposta è no, non ho l’Antologia Palatina intera a casa da consultare, però ho un internet intero che supplisce senza problemi. Le somiglianze con il verso di Catullo sono talmente evidenti che non serve stare troppo tempo a sottolinearle. Qual è dunque lo scopo di questa evidente citazione? La risposta è che essa costituisce la non dichiarata affermazione di un altro principio di poetica, che Catullo e anche gli altri neoteroi avevano fatto proprio, e che deriva dall’influenza della letteratura di età ellenistica. Si tratta dell’intertestualità, che aveva come fine il dimostrare la grande erudizione dell’autore. Infatti più ricercata era la citazione maggiore e più raffinata appariva la sua cultura. Siamo una seconda volta di fronte a un elemento della poesia alessandrina, che a questo punto possiamo definire con abbondanza di prove antecedente imprescindibile della poesia neoterica.

Può quindi sorgere spontaneo un dubbio. Sappiamo che tutta la poesia latina nasce dall’esperienza letteraria di età ellenistica. Dove risiede dunque l’originalità dichiarata in modo implicito ed esplicito da Catullo, se per ora ciò che dichiara era presente anche nella poesia di Ennio e Livio Andronico, per citarne soltanto un paio?
Nepote. Notare la gioia immensa che prova a essere citato da Catullo.

La differenza consiste nel riutilizzo del modello ellenistico. Ennio, nel proemio degli Annales, si dichiara sia poeta filologo sia reincarnazione di Omero, mostra sé stesso come naturale continuatore della poesia più antica e della poesia nuova, di punto d’incontro tra due tradizioni diverse della poesia greca con anche la tradizione latina. Ennio si presenta come nuovo Omero ma anche come nuovo Callimaco, nuovo poeta erudito. Anche Catullo vuole essere poeta erudito, ma della tradizione precedente recupera un aspetto che la poesia che veniva prima di lui aveva trascurato. La letteratura ellenistica mostra un gusto particolare per tutto ciò che è piccolo, quotidiano, particolare e per traslato tecnico. Mostra sì gli eroi e gli dèi ma ama anche mostrare gli uomini nella loro vita di tutti i giorni, nella loro semplicità e ingenua bellezza, tratteggiando dei quadretti molto particolareggiati e vividi. In una poesia come quella di Ennio il lepos o l’uso frequente di diminutivi non avrebbero avuto senso, l’attenzione non è rivolta al piccolo ma a ciò che è solenne, epico, e il poeta diventa istruttore della comunità. Mentre per esempio avrebbero potuto avere senso in un mimiambo di Eroda, o in un idillio di Teocrito.

Catullo e gli altri poetae novi, quindi, vogliono sì ricercare l’erudizione e la raffinatezza ma in un ambito diverso dai loro predecessori, e anche più vicino alla sensibilità e al gusto di un poeta ellenistico. Per questo assumono anche un'altra regola di poetica di età ellenistica, ovvero la brevitas (“brevità”), che contrastava contro la lunghezza spesso eccessiva dei poemi delle epoche precedenti. Infatti il carme 1 di Catullo è lungo una decina di versi mentre quello di Meleagro, che pure è modello diretto, supera i 50. Anche nei carmina docta, quando il canto si eleva e la poesia diventa più lunga, l’attenzione del poeta resta comunque sui dettagli, si focalizza sugli aspetti più intimistici o psicologici delle vicende. Il carme 64, per fare un esempio, è un epillio (“piccolo epos”) eppure ha ben poco di epico e solenne, è piuttosto avvolto da un velo di malinconia, di lontananza crepuscolare che somiglia alla sensazione che danno i ricordi d’infanzia. Questa è la quintessenza dell’originalità di Catullo e degli altri neoteroi, è il cuore pulsante che anima la loro poesia.

"Qualcuno ha detto cuore? Posso darvi una mano io"

Temo di avere divagato, ma credo che questo discorso sia fondamentale per capire davvero Catullo. Comunque, ora posso tornare al commento puntuale dei versi. Passando perciò all’endecasillabo successivo, Catullo specifica ulteriormente quanto sia recente il suo libretto, addirittura è appena stato levigato dalla pomice (termine qui usato al femminile ma di solito maschile in latino), cioè è stato proprio concluso da poco. Nel terzo verso si risponde alla domanda del primo, e appunto viene indicato Nepote come destinatario della dedica del Liber. Mentre raccontavo chi fosse Nepote accennavo alle ragioni di questa dedica. Ce ne sono due: una esplicita e l’altra no. Quella esplicita è dichiarata nel verso successivo: Nepote ha sempre pensato che le poesie di Catullo avessero un qualche valore, e quindi è più che giusto che a lui sia dedicato il libro che le contiene. La ragione implicita è naturalmente più importante dal punto di vista poetico, e va dedotta da quello che viene detto nei tre versi successivi. 

Viene menzionata soltanto una delle tre opere di Nepote, i Chronica, dei quali ho già parlato. Ecco, questo è stato in passato oggetto di un’interpretazione critica scorretta: si pensava che Catullo chiamasse in causa i Chronica in quanto opera di storia universale (e quindi monumentale) in netta contrapposizione con la brevità del suo libretto, che pure non è meno laboriosus dello scritto di Nepote. In realtà non è così, e basta riflettere un attimo sulla questione per rendersene conto. Può essere utile attuare un confronto. I Chronica era lunghi tre libri. Livio scrive un’opera storica su Roma che copre un arco di circa settecento anni, e per farlo impiega centoquarantadue libri. Quanti libri sarebbero dovuti servire per una trattazione esauriente della storia universale di ogni parte del mondo conosciuto? Sicuramente molti più di tre! Di conseguenza possiamo pensare che l’opera di Nepote non fosse affatto monumentale come l’argomento potrebbe indurre a credere, ma che anzi fosse particolarmente ridotta. Possiamo affermare cioè che facesse della brevitas un proprio punto di forza fondamentale. Ecco quindi che si esplicita il filo conduttore nascosto tra Nepote e Catullo, un aspetto di poetica comune e innovativo rispetto alla tradizione. Quindi Nepote non viene nominato per creare un contrasto, ma anzi, per instaurare un legame e quindi in modo implicito per aggiungere altra carne al fuoco alla dichiarazione di originalità e di principi compositivi contenuta nel primo verso.

L’adesione alla tradizione della poesia latina si nota nell’uso frequentissimo di figure di suono, quali l’allitterazioni e l’omoteleuti. Per quanto riguarda le prime troviamo, per esempio, ausus es unus, per quanto riguarda i secondi lepidum novum libellum, poi solebas meas nugas e doctis laboriosis (ma potrei citarne altri). Le figure di suono sono quindi il principale ponte tra Catullo e il passato, e hanno lo scopo di sottolineare punti importanti della poesia.

L’ottavo verso invita Nepote a prendere il Liber per quello che è. Non è del resto la prima affermazione di modestia del componimento, anche il nugas del quarto verso ha un significato analogo. Ovviamente quella di Catullo è una modestia di rito, e questo appare evidente nell’ultimo verso. Qui la Musa (invocata come patrona virgo) viene invitata a proteggere l’opera, e a farla vivere perenne per più di un secolo. L’ossimoro tra l’enfatico “perenne” e il modesto “più di un secolo” svela l’ironia contenuta nella’umiltà di Catullo, che appare invece del tutto consapevole della grandezza della propria poesia. 

L'opera di Catullo durerà molto più di questo libro!

Siamo giunti alla fine, tiriamo quindi le conclusioni del commento di questo primo carme. Per quanto riguarda il contenuto costituisce la dedica del libro a Nepote, sul piano interpretativo svela i punti focali della poetica di Catullo: brevitas, erudizione (in latino doctrina), raffinatezza, attenzione al piccolo e al quotidiano. Questi principi derivati dalla poesia ellenistica si uniscono alla forma e alle figure retoriche tipiche invece della tradizione latina.

La presenza di un proemio potrebbe fare pensare a una sistemazione organica delle poesie, ma vedremo che non è così. Non siamo di fronte a un canzoniere in stile Petrarca, ma anzi, siamo quanto più lontani possibile da un’idea del genere di raccolta poetica. Comunque, tutto questo sarà più chiaro leggendo le prossime poesie. Per ora ho parlato fin troppo. Giuro che comunque i prossimi commenti saranno più brevi, questo era lungo perché la poesia proemiale è sempre densissima di significato. Con le altre andremo più spediti. La prossima poesia che ci aspetta è quella dedicata al passero di Lesbia in vita. Spero di riuscire a pubblicare il commento il prima possibile, in modo da tornare in carreggiata con pubblicazioni più o meno costanti. A presto!

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