giovedì 14 settembre 2017

Recensione - American Gods di Neil Gaiman

Dopo la svolta high fantasy con Heitz e il nano che “si erge in tutta la sua altezza” (per chi se lo chiedesse sì, é una citazione e no, non è ironica) sono tornato a un buon vecchio urban fantasy. A dirla tutta ho avuto anche una parentesi dedicata alla bilogia del mosaico di Sarantium di Guy Gavriel Kay, ma mentre il primo libro mi è piaciuto molto il secondo mi ha ucciso definitivamente a pagina 200. Comunque, sono tornato allo urban fantasy e ho deciso di leggere American gods, di cui avevo sentito giudizi molto lusinghieri e quindi ero molto curioso di leggerlo. Casualmente, mi sono trovato a leggere subito dopo Pan di Francesco Dimitri, che con American gods presenta notevoli somiglianze (ho letto pure Alice nel paese della vaporità, ma quel libro non esiste o non lo ha scritto Dimitri, quindi non parliamone più). E nonostante Pan sia un libro migliore, conferma che Dimitri é uno scrittore di tutto rispetto, anche American gods si è rivelata un’ottima lettura.
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Titolo: American gods
Autore: Nei Gaiman
Anno: 2001                                                        
Editore: Mondadori
Pagine: 519




TRAMA 

Shadow sta per uscire di prigione dopo tre anni. Finalmente può tornare alla sua vecchia vita, a sua moglie Laura e ai suoi amici. Questo é quello che crede. in realtà, poco prima della sua scarcerazione gli viene annunciata la morte della moglie, e viene assunto come guardia del corpo da un misterioso signore di nome Wednesday. Wednesday nasconde più di un segreto, e non è un semplice umano come sembra a prima vista: il suo obiettivo è radunare le vecchie divinità che esistono nel mondo ma non vengono più venerate per farle combattere con i nuovi déi, gli dèi della televisione, dei computer, della tecnologia e della modernità. Una guerra tra coloro che sono stati dimenticati e coloro che ora comandano, tra i reietti e abbandonati contro la moda. Una guerra nella quale Shadow scoprirà di avere un ruolo molto maggiore di quanto avrebbe mai potuto immaginare.


LA MIA OPINIONE 


Come dicevo avevo sentito dire solo buone cose su American gods, e in effetti posso confermare tutti i complimenti che ha ricevuto. Credo che la traduzione italiana non abbia reso merito all’originale, però, perché ho notato molti punti in cui erano presenti sbavature stilistiche che, più che colpa di Neil Gaiman, mi sembrano colpa del traduttore. Non ricordo esempi precisi, comunque sono fondamentalmente usi eccessivi dell’aggettivazione e cose simili. Cose che insomma il traduttore potrebbe aver reso un po’ troppo liberamente, finendo così per sporcare lo stile di Gaiman, che di solito è molto diverso. Gaiman in generale scrive bene, sintesi, semplicità ed efficacia sono le sue qualità migliori. e le prime che colpiscono il lettore.

Wednesday quando portava le trecce.
Quindi, per quale motivo American gods è così meritatamente famoso, al punto che ci gli hanno pure dedicato una serie tv (che non ho visto perché non seguo serie tv in generale ma che da quel che so ha ben poco a che vedere con il libro)? Bé, a parte la scrittura, sicuramente ha dalla sua un cast di personaggi davvero d’eccezione. Shadow, Wednesday, ma anche Mad Sweeney, Ibis, Chernobog, sono tutti personaggi che funzionano molto bene perché si comportano nel loro modo proprio, nel loro modo naturale e conforme al loro carattere. La sottotrama di Mad Sweeney, che costituisce di fatto una diramazione del plot che poteva essere evitabile in quanto non aggiunge nulla al tutto, dimostra proprio questo, che American gods è, prima che la storia degli eventi che hanno avuto nel luogo in un certo mondo in un certo periodo, è la storia dei personaggi, ed è loro che segue. Non quindi la storia della guerra tra le nuove e le vecchie divinità, ma la storia di Shadow, e di come questi sia stato coinvolto in essa.

Questo è un grande pregio, perché non butta via nulla. Capita spesso che gli scrittori dimentichino o lascino un po’ perdere certi personaggi perché non servono più allo svolgersi degli eventi. Per Gaiman è l’opposto, Gaiman se ne frega degli eventi, lui segue i personaggi. Il finale ne è un esempio lampante. Se a scriverlo fosse stato Stephen King avremmo avuto almeno tre o quattro pov diversi che raccontavano cose diverse dello stesso evento, magari con capitoli brevi e sbalzi da un pov all’altro. Gaiman no, lui racconta quello che succede a Shadow (e a un altro personaggio che non nomino per non fare grossi spoiler) e fine, e la guerra tra gli dèi noi lettori ce la becchiamo soltanto quando comincia a riguardare Shadow, a parte qualche accenno prima, ma poca roba.

Se ha dei pregi, quest’ottica in cui viene narrata la storia presenta anche dei difetti. Nella prima parte del romanzo, tutta la parte del viaggio fino a Cairo e anche l’inizio del soggiorno a Lakeside suonano abbastanza inutili. Cioé, va bene che presentano alcuni personaggi che riappariranno in seguito, ma al lettore viene da chiedersi “embé? A che serve tutto questo?”. In particolare questa domanda mi martellava nella testa come un bombardamento aereo durante la storia di Mad Sweeney che, come dicevo prima, non ha nulla a che fare con le vicende principali, esiste soltanto perché l’autore ha sentito il bisogno di sciogliere un piccolo nodo della trama che riguardava un dettaglio del primo incontro tra Shadow é Mad Sweeney. Certo, va bene scioglierlo, anche se, se non fosse stato sciolto, dico la verità, sarebbe cambiato ben poco. Durante la lettura, all’inizio, questa domanda ricorrente, questa sensazione di stare leggendo una serie di diramazioni della trama dà fastidio. Una volta però che ci si abitua e si capisce che l’idea che Gaiman ha di trama riguarda i personaggi e non gli eventi allora si comincia ad apprezzare queste apparenti deviazioni del plot, e anzi, si va a creare un effetto particolare. La vicenda di Lakeside é un esempio evidente di questa mia affermazione. Se sulle prime infatti sembra di essere di fronte all’ennesima ramificazione relativamente interessante degli eventi, ecco che poi piano piano si comincia a fare come Shadow, a prenderci l’abitudine. Si conoscono gli abitanti, si simpatizza con loro, si intravede qualche relazione che potrebbe nascere, quando spuntano personaggi marginali già apparsi si ha la stessa sensazione di quando si vede per strada qualche conoscente incontrato una volta e ci si stupisce di quanto sia piccolo il mondo, ed ecco che succede l’evento inatteso, il conflitto, il mistero da risolvere che aggiunge sale agli eventi. É questo evento non sembra più una derivazione del plot, il lettore si è ormai accomodato come sotto una coperta calda, e non potrà che simpatizzare con gli abitanti preoccupati, e con Shadow che si sbatte per fare qualcosa. Il dispiacere e lo straniamento dei personaggi é quello del lettore, e questo dimostra la grande abilità di Gaiman a creare un’atmosfera adatta a conquistare chi legge. Alla fine, direi che l’abilità nel creare atmosfere e nel rendere piacevoli i personaggi é quello che rende interessante e piacevole l'ottica da cui Gaiman ha deciso di raccontare la storia. Lo avesse fatto qualcun altro, lo avessi fatto io per dire, sarebbe risultato un cumulo di vicende secondarie che mettevano in secondo piano le cose importanti.

Gaiman si è emozionato leggendo la recensione.
La vicenda di Lakeside si conclude dopo la guerra degli dei, diventando così quello che il ritorno alla Contea è per Il signore degli anelli. Ho sentito nel corso degli anni molte persone criticare una risoluzione di questo genere, giudicandola troppo prolissa. Io sono d’accordo in alcuni casi, visto che capita che ci siano scrittori che non vogliono proprio che la storia finisca e allora anche dopo che le vicende principali si sono concluse allungano il brodo a dismisura. Non è questo il caso di American gods, sono convinto che questa sia una di quelle situazioni in cui un finale più disteso di sta assolutamente bene. Perché il lettore ha ancora bisogno di risposte, e si è talmente appassionato a Lakeside e ai suoi abitanti che vuole proprio sapere che fine faranno tanto quanto voleva sapere come si sarebbe conclusa la guerra tra divinità.

Ci sono alcune idee del romanzo che mi sono piaciute parecchio, che ho trovato originali e interessanti. Senza fare troppi spoiler, il metodo di importazione degli dei da un paese all’altro non solo mi è piaciuto molto, ma lo ho trovato particolarmente intrigante e affascinante. Viceversa, non ho sempre apprezzato i racconti dei trasferimenti degli dei, ma solo perché erano uno stacco nella narrazione che secondo me stava proprio male.

La trama ha una brusca virata nell’ultima parte, quando la situazione precipita e molti nodi vengono al pettine in un crescendo di colpi di scena inaspettati. Diciamo che dagli eventi di pagina 400 in poi la lettura scorre che è un piacere, le pagine si girano da sole e la tensione si può quasi toccare. Non riuscivo più a smettere di leggere, era un giorno che dovevo studiare come un disperato per l’esame di archeologia romana perché ero indietrissimo eppure continuavo a leggere. In particolare le vicende su Shadow dopo il rito dell’albero mi hanno tenuto con il fiato sospeso.

Infine ho apprezzato l’ambiguità voluta tra realtà e finzione che viene instaurata su più livelli dall’autore. Nelle avvertenze all’inizio si legge:

Va da sé che tutte le persone […] nominate nel libro sono frutto della mia immaginazione. Solo gli dèi sono reali„ (pag.9)

Ecco, a me una cosa del genere fa andare in brodo di giuggiole, comincio a scodinzolare come un cucciolo di cane quando il padrone gli mostra un bastoncino e finge di lanciarlo. Non c’è una ragione precisa, è solo che i paradossi di questo tipo mi piacciono moltissimo, perché sono arguti, e capovolgono il punto di vista del lettore. E offrono anche delle chiavi di lettura di tutta la storia.

Io leggendo questa parte.
Verso la fine, invece, troviamo questo paragrafo.

Niente di tutto quello che è stato raccontato fin qui potrebbe accadere davvero. Prendetela come una metafora, se vi fa sentire meglio. Le religioni sono per definizione delle metafore […]. Le religioni sono punti di osservazione che condizionano le vostre azioni, posizioni di vantaggio da cui osservare il mondo.
Quindi, non sta accadendo niente di tutto quello che è stato raccontato fin qui. Cose simili non possono succedere. Non c’è una sola parola di verità. In ogni caso, quel che accadde dopo accadde nel seguente modo:[…]„ (pag.451)

In pratica, prima Gaiman ci scopre l’illusione della sua storia, e poi continua come se fosse reale, e più vero della realtà. Del resto, la frase che citavo prima diceva “solo gli dèi sono reali”. Come a dire che l’aspetto meno reale del libro è in realtà quello più vero, e come le religioni sono punti di vista da cui osservare il mondo anche il libro che stiamo leggendo lo è, anche il libro è soltanto una posizione di vantaggio da cui osservare il mondo. Da questa posizione ciò che è falso può diventare la sola cosa vera, ma non importa, perché quello che conta è il significato che viene celato dietro. È, potremmo dire, la religione, la metafora, gli dèi. Tanto di cappello a Gaiman per come questo concetto viene inserito in modo inaspettato eppure armonico all’interno della storia. Mentre lo leggevo era euforico e disorientato al tempo stesso, perché non me lo aspettavo. La citazione da pagina 451 arriva in un punto della storia così, come se fosse la cosa più logica, ma in realtà è assolutamente inaspettato. Ancora complimenti a Gaiman!

IN CONCLUSIONE


American gods è un ottimo libro, mi sono divertito molto a leggerlo, mi è piaciuto molto e, nonostante abbia dovuto subire il confronto con Pan, a mio avviso migliore, comunque risulta lo stesso davvero una buona lettura. Leggetevelo, fidatevi. Non guardare la serie tv. Pare non c’entri niente con il libro.


VOTO: 

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